Partigiano per Libertà

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Della mia infanzia mi rimangono dei flash, alcuni più lunghi ed accurati di altri; in quelli più frequenti cammino tenendo per mano i miei bisnonni fino ai giardini di corso Leoniero dove, mentre io stavo seduta davanti alla Cadorina intenta a mangiare un gelato, delle persone parlavano su un palco, tenevano discorsi che non riuscivo a capire. Tuttavia a catturare il mio sguardo erano gli occhi del mio bisnonno: pieni di orgoglio, fierezza e, anche un po’, di compassione ogni volta che la parola “partigiano” veniva pronunciata.

Anni dopo fui, finalmente, riconosciuta “abbastanza grande” e il mio bisnonno mi raccontò – in termini comprensibili da una bambina che stava per terminare la terza elementare – la Seconda Guerra Mondiale e chi fossero i partigiani, completamente diversi dai, come capivo inizialmente io, “parmigiani”. Così iniziò a narrarmi come fu costretto a scappare dalla caserma di Cuneo dopo l’Armistizio dell’8 Settembre 1943 e come, dopo travagliati mesi passati tra catture e fughe, riuscì ad arrivare a San Sebastiano dove si unì alla brigata Arazani distaccamento Portos, diventando un partigiano abituato ad esser chiamato “Ives” per i successivi due anni. I primi mesi lavorò con i ragazzi staffetta, mostrò loro tutti i sentieri delle nostre vallate e come nascondere i messaggi nella canna delle biciclette, poi imbracciò il moschetto e continuò a combattere fino agli ultimi giorni dell’Aprile del 1945.

Quando gli chiesi come mai decise di combattere, sorridendomi mi rispose che non avrebbe sopportato l’idea di vivere nascosto come un codardo mentre la sua famiglia mentiva per proteggerlo rischiando di morire. Decise di prendere in mano le armi per lottare per la Libertà, per permettere alla sua famiglia e – un giorno – ai suoi figli e nipoti di vivere in un Paese nuovamente libero.

Sara Bertoni

 

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